Auschwitz. Forse non è il posto più ameno dove portare in vacanze le mie figlie col camper. Ma io devo vedere. Loro devono vedere. Perché è successo davvero. Quella notte dormimmo dentro il Campo di concentramento dove si trova un area di sosta per Camper. Ricordo ancora quella camminata notturna io Emy, Virgy e Dizzy…tra le luci dei lampioni del campo accese e le zone di buio… il silenzio ci stava soffocando e ricordo tornammo di corsa in camper… quella notte non fu facile per nessuno chidere gli occhi e non pensare a cosa eravamo vicini e a cosa quei muri avevano visto e sentito.
Il giorno dopo inizio alle 8,30 per primi la visita in solitaria… (la ressa sarebbe arrivata piu tardi con i pulman e questo per noi fu un grosso vantaggio) ci sembrava di entrare nel set di un film..chi non ha visto “Schindler list”? (che per altro avevamo visitato due giorni prima a Cracovia) Tremo, le gambe si sono arrestate.
Fisso il cartello apposto sulla cancellata all’ingresso “ARBEIT MACHT FREI”. Ho quasi paura a varcare la soglia che ci porterà verso l’orrore più grande compiuto dall’umanita.
Abbiamo letto tanti libri, visto numerosi film con le lacrime agli occhi. E con questo viaggio il verosimile si è fatto realtà. Una terribile realtà. Non so se mi sentivo pronto, e soprattutto se le ragazze sarebbero state in grado di attutire il colpo: non si è mai abbastanza preparati al male.
Sembra assurdo, ma anche il cielo plumbeo accompagna i nostri sentimenti. Una pioggia sottile e pungente aumenta il fastidio provocato dalle immagini di ciò che resta dell’abominio compiuto dalla parte peggiore e più oscura dell’animo umano.
Tutto sembra essersi congelato nel tempo: il dolore, le urla, i pianti di un milione e mezzo di donne, uomini e bambini. Mi sembra di sentirli.
Nei vari block sono raccolte le testimonianze degli orrori nazisti: il campo-museo, destinato al memoriale dello sterminio, con le sue macabre testimonianze, ci raggela.
Il cielo è costellato dagli scheletri dei camini da cui uscivano le anime di innocenti.
Tutto è paralizzato. Il filo spinato che divideva le donne dagli uomini. Famiglie separate da quel filo e accumunate dalla morte.
È rimasto tutto intatto. Le macerie rilasciano ancora le grida di paura e di dolore.
“E’ successo e può succedere ancora” ha scritto Primo Levi, un uomo prima che uno scrittore, che mai superò il dolore ed il peso di Auschwitz.
Tutti dovrebbero venire un giorno ad Auschwitz. E ascoltare questo silenzio ululante.
“C’è un paio di scarpette
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
‘Schulze Monaco’.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.”
Joyce Lussu